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Perché la Russia sta sbagliando con Minsk

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Dopo il pesante arretramento strategico e geopolitico verificatosi con il crollo dell’Unione Sovietica alla fine del 1991 la Federazione Russa ha cercato, spesso con risultati non sempre gratificanti, di porsi alla guida di un processo di ricomposizione politico, economico e militare del frammentato ed instabile spazio post sovietico. Ad oggi quel processo, complesso, costoso e problematico, è lungi dall’aver raggiunto un livello soddisfacente per Mosca.

In un certo senso, le relazioni tra Mosca e Minsk offrono, a tutti coloro che sono interessati alle dinamiche politiche post sovietiche, un punto di osservazione privilegiato da cui poter comprendere quali siano le vere sfide che attendono il Cremlino in questo processo di ricomposizione di uno spazio vasto, popoloso, ricco di risorse e molto importante per gli equilibri di potere mondiali.

Come molti ben sapranno, in questo momento le relazioni tra i 2 Paesi non sono, per usare un eufemismo, propriamente idilliache, anzi. Come abbiamo avuto modo di ricordare in un precedente articolo sulla Bielorussia pubblicato sul sito di Eurasia, questa non è certo una novità, infatti, negli ultimi anni, le relazioni tra Russia e Bielorussia hanno mostrato un andamento ondivago caratterizzato da un alternarsi di momenti di grande intesa (si veda, ad esempio, gli accordi militari da cui sono scaturite le esercitazioni congiunte del 2009) con momenti di acute crisi politiche ed economiche (l’ultima, in ordine di tempo, è la guerra del gas dello scorso giugno) accompagnate da accuse reciproche amplificate dai media nazionali.

I motivi alla base di tale alternarsi di fasi di tensione e distensione nelle relazioni bilaterali, situaziona da cui nessuno dei 2 Paesi ottiene alcun reale vantaggio geopolitico in grado di giustificarne anche solo parzialmente la prosecuzione, sono molti e spaziano dalle questioni più puramente economico – commerciali fino ad arrivare a quelle più propriamente politiche passando attraverso le forche caudine dei non sempre eccellenti rapporti interpersonali, in particolare quelli tra il presidente bielorusso Lukašenko ed il primo ministro russo Putin.

La tesi che intendiamo difendere ed argomentare nella nostra analisi è la seguente: fermo restando che, come sopra affermato, entrambi i Paesi sono responsabili della situazione instabile e logorante venutasi a creare, ci sembra di poter affermare con una certa sicurezza che sia la Russia (perchè come dicevamo è Mosca e non Minsk che porta avanti un progetto ambizioso di riaggregazione dello spazio post sovietico) il Paese su cui principalmente ricade l’onere di resettare le relazioni con la Bielorussia instradandole su nuovi binari mostrando così la capacità creativa di immaginare, sviluppare ed implementare un progetto di ampio respiro, condiviso e mutualmente benefico per entrambi, uscendo in modo deciso e definitivo dalla situazione di stallo attuale.

Purtroppo però gli eventi dello scorso giugno, e le dichiarazioni che ne sono seguite, hanno gettato tutta una serie di dubbi sulle capacità del Cremlino di essere all’altezza del compito ambizioso che si è prefissato e, di conseguenza, saper scegliere i mezzi migliori per realizzarlo. Il minimo che si possa dire è che l’ultima crisi nelle relazioni con il piccolo ma importantissimo vicino occidentale è stata gestita in modo alquanto miope.

Non dimentichiamo che il modo con cui Mosca gestisce le relazioni con Minsk ha ripercussioni immediate su tutto lo spazio verso cui la Russia ambisce a giocare un ruolo guida. La politica incoerente messa in campo dal Cremlino nei confronti della Bielorussia (e non solo in occasione dell’ultima crisi ma ormai da una serie di anni) può rivelarsi controproducente per gli obiettivi geopolitici russi e favorire gli altri attori geopolitici che sfidano Mosca sull’enorme scacchiera eurasiatica, Cina in primis.

La Russia deve imparare dagli errori commessi e agire celermente per porre rimedio ad una situazione che potrebbe sfuggire di mano e danneggiare i propri interessi nazionali. Urge, come vedremo, la necessità di ricalibrare alcuni dei mezzi utilizzati ai fini che Mosca intende raggiungere.


Cronaca ragionata degli ultimi avvenimenti

Cominciamo innanzitutto con il presentare brevemente la dinamica dei fatti e la serie di commenti che da ambo le parti hanno accompagnato la vicenda dall’inizio alla conclusione ed oltre.

Tutti i nodi sono venuti al pettine il 21 giugno scorso quando Gazprom, su indicazioni del Presidente Medvedev, ha ridotto le forniture di gas a Minsk del 15%. Tale decisione è stata provocata dal rifiuto da parte della Bielorussia di pagare, come stabilito in un contratto stipulato il 31 dicembre 2006 che stabiliva una graduale transizione ai prezzi europei ed in cui era anche previsto uno sconto del 10% a Minsk, 169$ per 1000 m2 per il primo quadrimestre e 185$ per il secondo pagando invece 150$ fin dall’inizio dell’anno ed accumulando così un debito pari a circa 200 milioni di $.

La Bielorussia ha immediatamente riconosciuto di essere debitrice nei confronti di Gazprom ma ha anche ricordato al partner russo che egli stesso era debitore nei confronti di Beltrangas a cui doveva versare la cifra di 260 milioni di $ per il transito del gas russo verso l’Europa. Gazprom è stata così costretta ad ammettere a sua volta di essere debitrice verso Minsk senza tuttavia specificare l’ammomntare e accusando la Bielorussia di sabottare ogni tentativo di raggiungere un compromesso rifiutando di firmare i documenti necessari.

Con il passare dei giorni la crisi si è approfondita ed ampliata in termini geografici: Gazprom ha tagliato ulteriormente le consegne di gas alla Bielorussia fino ad arrivare ad un calo del 40% e dicendosi pronta a tagliare fino all’85% delle consegne e Minsk ha deciso, come forma di ritorsione, di appropriarsi di parte del gas russo diretto ai Paesi Europei al fine di mantenere attivo il proprio sistema di trasporto. Sebbene l’Unione Europea riceva solo il 6% del gas russo via Bielorussia alcuni Paesi hanno risentito pesantemente di tale decisione, in particolare la Lituania ha dovuto fronteggiare un crollo delle consegne di gas russo pari al 40%. Inevitabili le critiche europee verso tale decisione.

Il 23 giugno Minsk paga il suo debito con Gazprom e passa subito al contrattacco minacciando i colleghi russi di chiudere i rubinetti verso l’Europa se non pagheranno il loro debito. La crisi del gas, durata in tutto 4 giorni, si conclude, seppur con molte polemiche, quando Gazprom salda, secondo il proprio calcolo basato sui contratti firmati, il debito accumulato verso la Bielorussia che invece denuncia manchino ancora all’appello 35 milioni di $.

Fin qui la cronaca, vediamo adesso le dichiarazioni rilasciate durante e dopo la crisi da molti dei protagonisti. Tra le tante abbiamo selezionato quelle che a nostro avviso sono degne di nota per il loro impatto politico.

Come dicevamo, di fronte al tagli delle forniture iniziate il 21 giugno, la dirigenza bielorussa ha riconosciuto senza esitazione di essere debitrice e ha chiesto che le si concedesse un paio di settimane per mettere insieme la somma dovuta. La risposta a questa richiesta, che potremmo definire non così irragionevole, è arrivata dal portavoce di Gazprom Sergei Kupriyanov che seccamente afferma che nessuno avrebbe aspettato 2 settimane.

Il primo ministro Vladimir Putin, durante i pochi giorni della crisi, ha dichiarato che Gazprom era assolutamente giustificata dai contratti a ridurre le consegne fino all’85% ma che ciò non sarebbe avvenuto visto e considerato le relazioni speciali con i consumatori bielorussi. Successivamente ha poi sostenuto che ciò che la Russia pretende è il semplice rispetto dei contratti stipulati e quindi il versamento della somma dovutale. Infine, a circa un mese dalla conclusione dalla crisi, mentre si trovava a Foros, in Ucraina, per una visita ufficiale, Putin ha affermato che quando si tratta di soldi e/o energia ognuno vuole ottenere qualcosa gratuitamente dalla Russia e se ciò non accade punta i piedi… Il premier ha poi sottolineato come con la Bielorussia Mosca abbia adottato un approccio molto flessibile verso l’obiettivo di portare i prezzi a livello di mercato.

Anche lo stesso presidente russo Dimitri Medvedev sembra essersi posto sulla stessa scia del premier Putin usando però, come vedremo, toni molto meno diplomatici. Infatti, all’inizio della crisi Minsk aveva chiesto se fosse possibile saldare il debito pagando con macchinari, equipaggiamenti e beni vari ma il Presidente ha insistito affinchè il pagamento fosse fatto in valuta pregiata e dicendosi non interessato ai pancakes, al formaggio, al burro ed ai macchinari bielorussi!

Uno dei critici russi più importanti alle azioni e alle dichiarazioni russe è stato Gennadij Zjuganov, leader del partito comunista russo, il quale ha denunciato con forza sia la gestione dei rapporti con la Bielorussia in occasione dell’ultima guerra del gas sia le critiche, ai limiti dell’insulto personale, verso il presidente Lukašenko (si veda il documentario intitolato Il padrino trasmesso il 4 luglio dal canale russo NTV), uno dei più fedeli alleati che la Russia abbia. Il leader comunista ha inoltre criticato il prevalere degli interessi economici degli oligarchi sugli obiettivi geopolitici russi.

Infine, giova prendere in considerazione un paio di battute fatte dal Presidente Lukašenko che, contrariamente alla leadership moscovita, ha messo l’accento sulla dimensione politica dell’accaduto rispetto a quella economica. Il presidente bielorusso ha innanzitutto espresso la propria amarezza per il rifiuto di Mosca ad attendere un paio di settimane per dare modo a Minsk di raccogliere la somma e obbligando quest’ultima a chiedere un prestito all’estero per dover saldare un debito verso un Paese che si pensa come un amico ed un alleato. Inoltre, ha ribadito un principio cardine del modo con cui Minsk si relazioni con Mosca, vale a dire l’idea secondo cui se la Russia è veramente interessata ad avere relazioni più strette con la Bielorussia quest’ultima dovrebbe pagare meno per il gas ed il petrolio russo.


Adeguare i mezzi ai fini è la vera sfida per Mosca

Le azioni e le dichiarazioni compiute dalla leadership russa in occasione dell’ennesima crisi nelle relazioni con Minsk devono, a nostro avviso, essere giudicate come sostanzialmente errate e controproducenti. Vediamo di capire perchè.

Sebbene chi scrive sia perfettamente consapevole del fatto che le generalizzazioni debbano sempre essere utilizzate con molta cautela, ci sembra sia possibile affermare che nella sfera politica si valutino le scelte compiute da un attore a seconda del loro grado di congruenza con il perseguimento dell’obiettivo politico che tale attore si è posto.

Nel caso concreto diciamo che se la Russia si fosse posta l’obiettivo di diventare una sorta di ‘grande stazione eurasiatica’ per il rifornimento di gas e di petrolio le azioni intraprese nei confronti della Bielorussia negli ultimi tempi sarebbero più che coerenti al raggiungimento di quel fine. Se così fosse non vi sarebbe nulla da obiettare alle dichiarazioni rilasciate dal presidente e dal premier russo.

Tuttavia non è chiaramente questo l’obiettivo che la Russia si è posta: noi tutti ben sappiamo che essa aspira a realizzare un obiettivo geopolitico ambizioso, chiaramente non limitato alla sola sfera economica e che se realizzato avrebbe delle conseguenze non secondarie sull’intero sistema internazionale. È dunque chiaro a tutti che, se questo è l’obiettivo, allora è necessario che la Russia riveda al più presto i mezzi adottati onde evitare che il suo progetto rimanga un semplice wishful thinking. Questo purtroppo è un pericolo molto più concreto di quanto molti non siano pronti ad ammettere visto e considerato che negli ultimi 20 anni il numero di accordi ed intese siglate tra gli Stati post sovietici e rimasti semplicemente sulla carta è elevato.

Cerchiamo dunque di capire quali sono le correzioni che Mosca dovrebbe apportate alla propria politica estera per superare le incomprensioni con la Bielorussia e procedere più speditamente (e soprattutto più coerentemente) verso la realizzazione del proprio progetto di ricomposizione dello spazio post sovietico.

Le critiche mosse da Zjuganov sono molto interessanti e stimolanti. Infatti, se proviamo per un attimo a capire quale sia stato, dopo che la crisi si è conclusa, il guadagno, politico ed economico, ottenuto da Mosca si rimane un pò interdetti in quanto:

1) a fronte di 200 milioni di $ incassati, Gazprom ne ha dovuti sborsare 225. Qundi, facendo rapidamente i conti, ha perso 25 milioni di $;

2) ha prestato il fianco a tutti coloro che in Occidente accusano la Russia di essere un partner energetico inaffidabile visto e considerato che all’inizio della disputa i vertici di Gazprom avevano garantito che i consumatori europei non sarebbero stati minimamente toccati dal contenzioso;

3) è difficile capire come le relazioni con la Bielorussia (che come giustamente dice Zjuganov è uno degli alleati più fedeli su cui Mosca possa contare) ne abbiano tratto giovamento visto e considerato che la Russia non ha accettato né di attendere 2 settimane per ricevere il denaro né la proposta di un pagamento in beni bielorussi (oltretutto denigrati pubblicamente dal presidente Medvedev, perfettamente consapevole del fatto che le riserve bielorusse di moneta pregiata si sono vistosamente assotigliate negli ultimi anni).

L’unico guadagno, se così lo si può definire, che la Russia abbia ottenuto è quello del doveroso rispetto dei patti commerciali siglati, come il premier Putin aveva chiesto. Tuttavia, ci sembra fuori luogo definire questo un successo utile alla realizzazione del progetto politico di Mosca.

Qualcuno ha avanzato l’idea secondo cui l’azione di Mosca dovrebbe essere letta come una ritorsione verso due azioni compiute da Minsk e non gradite da Mosca. Nello specifico:

1) la decisione di posticipare la ratifica dell’accordo di unione doganale stipulato con la Russia ed il Kazakhstan il 27 novembre 2009;

2) l’aver compiuto alcuni passi di (timida) apertura verso l’Unione Europea (apertura spiegata da molti esperti come una ritorsione bielorussa contro la volontà di Gazprom di aumentarle i prezzi dell’energia). Oggi infatti la Bielorussia, seppur con molte limitazioni, è inserita nella cornice istituzionale della Eastern Partnership.

Fermo restando che si tratta di un’interpretazione che può essere rifiutata e confutata, diciamo che per quanto riguarda il secondo punto è probabile che la Russia, almeno per il momento, non abbia nulla da temere visto e considerato che Lukašenko non accetterà la roadmap europea verso la “democratizzazione” del Paese e da cui dipende la partecipazione piena della Bielorussia ai progetti europei rivolti ai vicini orientali. Più interessante per la nostra analisi è invece il primo punto. La notizia della ratifica dell’accordo è stata diffusa dalle agenzie di stampa il 3 luglio, pochi giorni dopo la conclusione della guerra del gas. Non è facile stabilire se ne sia stata la causa. Tuttavia, anche se lo fosse la Russia non dovrebbe vedere ciò come un innegabile successo, anzi. Una delle affermazioni ripetute più spesso dal Presidente bielorusso riguardano la volontà del suo Paese di conservare la propria sovranità, indipendenza e sicurezza (questo, a ben vedere, è un obiettivo gelosamente perseguito da tutti i Paesi sorti dalle ceneri dello Stato sovietico, Russia in primis) senza mai doversi piegare a nessun attore esterno. Questo dovrebbe far riflettere Mosca poichè significa che tutte le azioni intraprese dal Cremlino e percepite a Minsk, a torto o a ragione, come ‘pressioni indebite’ rischiano di far deteriorare ulteriormente le relazioni tra i due Paesi, affossare i sogni russi e gettare al vento quanto fin qui realizzato dalla cooperazione bilaterale. L’avvenuta ratifica quindi potrebbe rivelarsi una vittoria di Pirro per Mosca se poi la Bielorussia decide di non collaborare sinceramente al progetto.

Quello che serve per uscire da questa sorta di circolo vizioso è, innanzitutto, un grande sforzo da parte russa al fine di conseguire due obiettivi importanti e strettamente correlati:

1) poichè lo spazio post sovietico è ancora in attesa, a 20 anni dal crollo dell’URSS, di una nuova cornice istituzionale forte e legittimata dalla partecipazione di tutti gli attori presenti, Mosca dovrebbe mostrare di possedere la capacità di elaborare un progetto istituzionale di collaborazione a 360° che sia flessibile, inclusivo, rispettoso dell’indipendenza della Bielorussia (e di tutti gli altri si intende) ed aperto alle sue istanze;

2) la Russia deve affinare gli strumenti appartenenti al cosiddetto soft power e la propria capacità di condurre efficaci campagne di public relations al fine di spiegare al popolo bielorusso ed alla sua elite politica l’importanza e l’utilità del progetto istituzionale di cui si fa portatrice sottolineando che non solo non esiste alcun pericolo di perdere sovranità ed indipendenza ma vi è anche la possibilità di ottenere molti vantaggi prendendo attivamente parte al progetto russo di ricomposizione dello spazio post sovietico;

Raggiungendo questi 2 obiettivi la Russia risolverà, in modo ottimale per entrambi, il timore che attanaglia quasi tutti i partner minori di una grande potenza con un grande disegno, vale a dire quello di essere dominati.

È chiaro che la Russia deve, e gli ultimi avvenimenti gettano un’ombra sinistra sul fatto che Mosca voglia e/o possa farlo, essere pienamente consapevole del fatto che al fine di ottenere dividendi politici domani è necessario rinunciare a qualche beneficio economico oggi. Ennesima dimostrazione di come i tempi e le logiche della politica spesso non coincidano con quelli dell’economia, almeno nel breve periodo. Per fare ciò la Russia deve accelerare il processo di modernizzazione (che per il momento, per vari motivi che qui non possiamo trattare in questa sede, stenta a prendere slancio) al fine di essere, economicamente parlando, un passo avanti rispetto agli alleati e avere la possibilità economica (e chiaramente la volontà politica) di fare concessioni economiche nella fase di edificazione delle istituzioni che faranno perno su Mosca e daranno di nuovo coerenza e stabilità allo spazio post sovietico e di fornire successivamente i beni pubblici internazionali (come la sicurezza) che lo Stato guida deve garantire agli alleati che avranno accettato di legare i propri destini a quelli di Mosca.

Se quanto appena affermato è corretto allora non possiamo che constatare che sotto questo profilo la strada che la Russia deve percorrere è ancora lunga. Gli ultimi avvenimenti sembrano mostrare come apparentemente Mosca, per necessità o per convenienza, abbia perseguito più logiche economiche che non politiche. Anche l’accordo di unione doganale, a cui comunque bisogna riconoscere il beneficio del dubbio, sembra rafforzare questo punto di vista. L’accordo è molto più modesto di quanto si possa pensare per tutta una serie di motivi: ci sono circa 400 eccezioni al movimento dei beni; vengono mantenuti i controlli alle frontiere; rimangono in piedi le barriere non tariffarie e i sussidi; la Russia mantiene le tasse sull’esportazione sul petrolio ed i prodotti petrolifici verso la Bielorussia e quest’ultima applica le proprie tasse sull’esportazione del greggio russo che transita sul proprio territorio. Inoltre il nuovo accordo di unione doganale non prevede la creazione di una politica doganale unica. Infine, la Russia si aggiudicherà l’86.5% delle tasse raccolte, il Kazakhstan l’8.5% e la Bielorussia il 5% (i suoi tentativi di ottenere un semplice 0.3% in più sono stati vani…).

Sotto il profilo economico il comportamento di Mosca è più che legittimo, se però sia anche in linea con gli obiettivi politici di lungo periodo è un altro paio di maniche. Siamo del parere che anche in questo caso è la Russia che avrebbe dovuto aver il coraggio di fare qualche rinuncia economica e qualche gesto simbolico in più.

Nei confronti dell’alleato bielorusso mostrare gradualismo verso il passaggio ad un regime di prezzi di mercato per l’energia fornita non ci sembra sufficiente, perché si dimentica il problema fondamentale che da sola la dirigenza bielorussa non può risolvere: le riforme strutturali del sistema economico. Crediamo che il modo per aiutare Minsk non consista nel riabbassare i prezzi dell’energia e contribuire a tenere in piedi un sistema economico che presenta molte crepe bensi nel pianificare ed implementare una sorta di roadmap economica condivisa al fine di aiutare la Bielorussia a rilanciare la propria economia e renderla più competitiva uscendo in modo costruttivo da una congiuntura difficile. Da tale risultato la Russia ne ricaverebbe grandi vantaggi politici in futuro poiché un alleato economicamente solido può contribuire in misura maggiori alle spese di mantenimento del sistema istituzionale incentrato su Mosca ed evitare di pesare troppo sulle casse di quest’ultima.


Riflessioni conclusive

Come abbiamo dimostrato le relazioni tra Russia e Bielorussia stanno attraversando ormai da qualche anno una fase di stallo che rischia di logorare l’alleanza tra i due Paesi. Sebbene Minsk abbia la sua parte di responsabilità è la Russia che ha il dovere di risolvere in modo definitivo e vantaggioso per entrambi una crisi che rischia di mandare all’aria il progetto ambizioso di Mosca di mettersi alla guida di un processo di ricomposizione del fragmentato spazio post sovietico, al fine di tenere sotto controllo gli appetiti di altri soggetti geopolitici che si pongono verso il progetto russo se non in aperto contrasto comunque in competizione.

Calmare i timori che Minsk nutre verso una possibile perdita di indipendenza, aiutarla ad avere un’economia solida in grado di pagare gas e petrolio a prezzi di mercato ed invitarlo a prendere parte attiva ai progetti che Mosca nutre verso tutto lo spazio post sovietico è il più grande favore che la Russia possa fare a se stessa (in quanto avrebbe un effetto trainante sugli altri Paesi post sovietici che nutrono timori ed aspettative simili a quelle bielorusse spronandoli così ad attivarsi per avere voce in capitolo nel progetto moscovita senza più paure), alla stabilità mondiale ed al rafforzamento del sistema multipolare.

Se questo accadrà dipende soprattutto dalla capacità di Mosca di portare avanti con successo la modernizzazione e lo sviluppo economico del Paese. Ciò è sicuramente la conditio sine qua non, ma chiaramente da sola non basta, serve, come già anticipato, la volontà politica e la capacità di saper rinunciare ad un semplice guadagno economico oggi per intascarlo domani caricato degli interessi politici. Per tale motivo crediamo che Mosca debba ricalibrare meglio i propri mezzi per superare lo stallo con la Bielorussia e prendere slancio nello spazio post sovietico. La Russia deve capire questo alla svelta ed agire senza perdere un attimo di tempo: infatti gli attori geopolitici non dormono mai, compresi gli avversari della Russia…


* Alessio Bini, dottore in Relazioni internazionali (Università di Bologna), collabora con “Eurasia”

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